Pane, timbro, famiglia, tradizioni: sono queste le parole chiave del volume “Nel nome del pane. Segni della cultura agropastorale in Basilicata” (Altrimedia) dell’artista Marianna D’Aquino presentato ieri sera a Matera nella Sala Levi di Palazzo Lanfranchi e definito dai relatori (il prof. Nicola Rizzi che ha firmato un testo presente nel libro, l’editore Vito Epifania e Maria Antonietta Carbone in rappresentanza della direttrice del Polo Museale della Basilicata Marta Ragozzino) “opera d’arte in un’opera d’arte”.
โQuesto libro รจ una riflessione sul filo della memoria. – ha affermato Epifania – Il pane รจ qualcosa di essenziale che riporta a una simbologia ricca. Ormai stampare un libro รจ un’operazione diventata banale โ ha aggiunto โ Come editori cerchiamo qualcosa che sia provocazione, qualcosa di nuovo e che sia legata al territorio: il testo di Marianna ha queste caratteristicheโ.
Nel volume sono riprodotti pittoricamente 35 timbri del pane: raffigurano alcuni pezzi conservati nella Collezione Etnografica del Museo Nazionale Archeologico โD. Ridolaโ; una collezione che comprende anche conocchie (utilizzate per dipanare la lana) cucchiai e stecche da busto.
โParlando di pane parliamo di un bene primario. โ ha sottolineato Maria Antonietta Carbone, responsabile del Museo Ridola โ Quello che affronta โNel nome del paneโ รจ un tema meravigliosoโ.
Si tratta di manufatti lignei che raccontano la storia di un popolo che nella sua semplicitร ha tramandato questi piccoli oggetti, dal notevole valore artistico e degni di considerazione.
Un tempo, marchiare i pani con le iniziali del capo famiglia, in modo che non si confondessero con quelli di altre famiglie, dal momento che la consistenza della pasta e la pezzatura erano diverse e ciascuno voleva avere la certezza che il proprio pane non fosse scambiato con quello altrui.
L’autrice ha raccontato di aver iniziato la sua ricerca nel 2015: โHo trovato circa 60 timbri ma mancava ancora qualcosa. Mi hanno aiutato sia il professor Rizzi sia il professor Ferdinando Mirizzi (che ha anche firmato la prefazione del volume, ndr). A ogni timbro ho voluto dare un nome, anche ricordando persone che non ci sono piรน. La scelta dei timbri presenti nel libro รจ nata dai soggetti che mi hanno ispirato maggiormente. Ognuno di loro raccontava la storia della cittร e ogni timbro รจ stato raccontato in maniera diversa. La mia arte, insomma, si รจ messa in funzione di questi timbri reinterpretati con occhi da artistaโ.
Un accurato lavoro, quindi, che ci consente di capire bene non solo il passato ma anche e soprattutto il presente.
Il professor Rizzi, ricordando gli studiosi che fin dagli anni Cinquanta si sono occupati dei timbri del pane (l’etnologo danese, Holger Rasmussen, che tra il 1953 e il 1955 condusse una ricerca specifica; a โstudiareโ i timbri del pane furono anche Eleonora Bracco, il prof. Annona, Silvestrini e Spera) ha svelato che la sua non รจ stata un’esperienza di studio ma un contatto diretto: โI miei genitori avevano un forno e, poichรฉ non volevo andare all’asilo, trascorrevo lรฌ le mie giornate. Ben presto i timbri diventarono i miei giocattoli. Poi, mentre percorrevo la strada dell’istruzione quei timbri iniziarono un altro percorso, verso il Museo Ridola. Il mio รจ un racconto evocativo perchรฉ insieme alla storia dei timbri c’รจ il ricordo di un qualcosa che non tornerร piรนโ.
Anche l’artigiano Luca Colacicco ha reinterpretato i timbri con pregiati manufatti in legno in vendita con il libro in una confezione speciale.
L’edizione del libro โNel nome del paneโ รจ bilingue, in italiano e in inglese.