C’è un filo invisibile che lega le fotografie di Annachiara Molinari alle parole di Maurizio Camerini: non si tratta di un semplice rapporto di illustrazione o commento, ma di un vero e proprio dialogo, un intreccio in cui immagine e testo rimandano ciascuna all’altra e si completano. Presentare il volume nella splendida cornice della Terrazza di Casa Cava ha reso plastica e viva la materia curata nel libro, si è realizzato sensorialmente e visivamente il paesaggio della Murgia sospeso tra materia e spirito. Le fotografie di Annachiara Molinari e i testi di Maurizio Camerini hanno offerto al pubblico non soltanto un libro, infatti, ma un vissuto, in itinere, di tipo corporeo e intellettuale che esprime il senso del libro nato dal cammino condiviso degli autori e che restituisce al lettore la Murgia come esperienza totale, fatta di luce e silenzi, di roccia e vento, di memoria e intuizione. La scelta del titolo evoca subito un doppio riferimento: da un lato, il Quaderno a cancelli di Carlo Levi, che con la sua scrittura “a griglie” suggeriva l’idea di uno sguardo filtrato e insieme liberato; dall’altro, i cancelli come varchi, soglie da attraversare per entrare più profondamente nel paesaggio, ma anche, e forse soprattutto, come limite che aiuta a definire ciò che siamo nel rispetto di quella misura che ci rende capaci di esercitare la nostra libertà. Ed è proprio questa la forza del libro: non fermarsi alla superficie delle pietre, ma penetrarne l’anima, come se fossero “parole incise da millenni”, alfabeti che richiedono tempo, silenzio e attenzione per essere decifrati. I testi di Camerini, densi e stratificati, oscillano tra la riflessione filosofica e l’evocazione poetica rimandando come “echi” a suggestioni numerose e molteplici che vanno da Baruch Spinoza a Pierre Hadot, passando da Haruki Murakami e Franco Cassano andando oltre Aldous Huxley. Si avverte la sua formazione di viaggiatore e praticante di yoga e mindfulness, capace di trasformare il gesto del camminare in meditazione. Non a caso introduce la suggestiva nozione di “batocezione”: un settimo senso che consente di vivere la profondità, di immergersi nel paesaggio come corpo-sonar, che riceve ed emette vibrazioni. Le immagini di Molinari parlano e scrivono con la sobrietà della luce ma anche attraverso la verità dell’oscurità. Non mostrano la Murgia come cartolina, ma come corpo vivo, spesso ferito, ma anche solenne e profondamente intimo. Sono fotografie che sanno indugiare, che fissano dettagli — una pietra scavata, una radice, un varco di grotta — trasformandoli in segni, quasi in ideogrammi visivi, e parti di sé. Il risultato è un libro “in itinere”, non un oggetto chiuso, ma un invito a proseguire il cammino, a farsi viandanti della Murgia reale dopo averla esplorata nelle pagine. La lettura suscita infatti il desiderio di percorrere gli stessi sentieri, di sostare davanti agli stessi scorci, di ascoltare i silenzi che Molinari e Camerini hanno tradotto in linguaggio. Murgia a cancelli non è dunque solo un omaggio al paesaggio, ma un esercizio di attenzione e presenza. È un libro che invita a rallentare lo sguardo, a sostare davanti alla pietra fino a sentirne il respiro. E ci ricorda che la natura, quando la si osserva davvero, non è mai muta: parla, come parlano le pietre, con un linguaggio che attende di essere ascoltato.
