Capitolo III
«Luigi, dai, non essere fifone, solamente una sbirciatina.»
«È tardi, dobbiamo rientrare e, poi, non mi piace per niente questa situazione.».
La musica si era interrotta e il luogo era di nuovo immerso nel più totale silenzio. Si avvicinarono al cancello, che era divelto e lasciava aperto uno spiraglio più che sufficiente per infilarsi, e si affacciarono all’interno.
«Non sono un fifone, Clara, non temo fantasmi e simili, piuttosto mi spaventano i vivi e le loro follie»
le disse e stava già per andarsene, quando sentirono un lieve guaito e dopo poco videro nei pressi dell’ingresso il cane bianco che avevano incrociato sulla strada.

Clara gli fece cenno di avvicinarsi e gli accarezzò la testa e il dorso. Il cane lasciò che lei continuasse, ma girava di continuo la testa prima verso la casa e, poi, verso di lei, spingendola con il muso verso l’esterno e guardandola preoccupato come se volesse dirle qualcosa, quasi avvertirla di un pericolo.
Così Luigi l’aveva inteso – come disse durante la deposizione presso il magistrato inquirente.
Il buon senso avrebbe suggerito un’immediata dipartita, ma il sospetto che ci fosse anche la bambina che poteva aver bisogno di aiuto li fece desistere.
«Clara, svigniamocela subito, andiamo dalla polizia a raccontare ciò che abbiamo visto» disse lui, tirandola a sé.
«E se c’è la bambina?» rispose lei.
«Il cane ci ha fatto capire che dobbiamo scappare, non lo hai visto anche tu?»
«Non possiamo neanche telefonare, l’unica cosa è correre al primo posto di polizia.»
le intimò lui con il tono di chi non ammette repliche, dirigendosi verso l’auto; ma Clara, con un guizzo, oltrepassò il cancello e s’infilò nel giardino.

Le prese la mano per infonderle coraggio e si avviarono cautamente verso il punto dov’era il cane, ma di lui nessuna traccia. Incapaci di prendere una decisione, guardandosi in giro per evitare sorprese, avanzarono ancora un po’, quando, all’improvviso, si sentì di nuovo la musica.
I lenti accordi
Luigi prese Clara per un braccio e corsero verso l’auto, ma arrivati al cancello vi trovarono un tipo, dagli abiti sembrava un contadino, che occultava il passaggio.

«Chi siete, cosa ci fate qui?»
disse, con voce arrochita.
«Abbiamo visto un cane che sembrava aver bisogno d’aiuto» rispose Luigi, mentre cercava di capire come svignarsela.
«Si sbaglia, siamo qui per puro caso.»
«Siete soli?»
«Andiamo via subito, ci lasci passare» disse Luigi che già si preparava ad affrontarlo per garantirsi una via di fuga.

Prima che potesse fare qualsiasi movimento, vide sbucare altri due tipi che si avvicinarono con aria minacciosa.

Uno di loro si avvicinò a Clara con fare maniacale e le disse:
«L’unica cagna che vedo sei tu». Poi, rivolto ai suoi compari: «Pensate anche voi quello che penso io?»
Era chiaro dove volevano arrivare, allora Luigi tentò il tutto per tutto, strinse la mano della sua compagna e cercò di rompere l’assedio. Mentre spingeva l’uomo che aveva di fronte, un altro lo colpì con un bastone sulla testa e cadde riverso a terra privo di sensi.

